Erano attesi per giovedì 10 maggio i risultati definitivi delle elezioni parlamentari tenutesi lunedì 7 in tutta la Siria. Purtroppo il paese troneggia nelle prime pagine on-line della stampa internazionale per l’ennesimo sanguinoso attentato, che ha colpito nelle prime ore del mattino la capitale Damasco. La tornata elettorale si chiude con il terrore, esattamente come era stata inaugurata.
Alcuni minuti prima delle 07.00 di giovedì 10 due esplosioni hanno avuto luogo ad al-Qazzaz, sobborgo meridionale di Damasco, provocando morti e feriti. Il quartiere, informa la Bbc, ospita una sede dell’intelligence militare fedele al regime. La televisione di stato denuncia la matrice terroristica dell’attacco. L’ultimo attentato nella capitale risale al 27 aprile.
La vigilia elettorale era trascorsa tra l’indifferenza di stampa e politica Occidentale, attenta a denunciare con minuzia le violenze che il piano di Kofi Annan e la risoluzione Onu 2043 del 21 aprile non hanno interrotto. Le opposizioni da parte loro si sono per lo più allineate alla volontà del Syrian National Council (Snc), impegnandosi a boicottare il voto.
Senza dialogo continuano le violenze: mercoledì 2 maggio un corteo di studenti universitari ad Aleppo è stato soppresso dalle Forze di Sicurezza e dai militari: le Commissioni di Coordinamento Locale (Lcc) parlano di 5 studenti uccisi, mentre la Bbc riporta più di 200 manifestanti arrestati. L’Università di Aleppo ha sospeso tutte le attività didattiche per l’anno accademico in corso.
La risposta dei ribelli si fa attendere circa 72 ore: sabato 5 maggio il quartiere Tall al-Zarazeer ad Aleppo è teatro dell’esplosione di un auto lavaggio. Attentato rivendicato dal Free Syrian Army (Fsa): “Abbiamo piazzato una bomba dentro un’auto”, afferma Ali al-Halabi, attivista del Fsa. L’autolavaggio in questione era di proprietà e frequentato da sostenitori del regime.
A urne chiuse, Annan incontra il Consiglio di Sicurezza. Il piano in sei punti non è stato rispettato, ma non vi erano le pre condizioni necessarie. Il tessuto sociale del paese è sfilacciato, la realtà di Aleppo mostra un paese spaccato, con vendette tipiche di una guerra civile. Le parole di Annan continuano ostinatamente a sperare nell’impossibile: “il piano di pace”, ha affermato l’ex segretario generale dell’Onu “è l’ultima possibilità per il paese di scongiurare la guerra civile”. Torture, arresti di massa e violazioni dei diritti umani si stanno “intensificando” ed il presidente Bashar al-Assad è additato come “primo responsabile”. ”Vi è la preoccupazione che il paese possa precipitare nella guerra civile, e le implicazioni sono allarmanti. Non possiamo permettere che accada”, conclude Annan.
Le elezioni rappresentavano un’opportunità per il paese, ma disinteresse e silenzio ne hanno definito la cornice, decorata dalla denuncia di autoreferenzialità. Eppure nel paese vi sono da circa un mese ispettori non armati dell’Onu (al momento delle elezioni ne erano presenti circa 70, mentre l’attesa è di 300 osservatori complessivi entro la fine di maggio), che avrebbero potuto svolgere un ruolo non marginale a latere delle sedi elettorali.
Un totale di 7.195 candidati (di cui 710 donne) per 250 poltrone in parlamento: questa la posta in gioco per le prime elezioni multipartitiche nella storia recente del paese. Il Snc ha boicottato le elezioni ribadendo falsa l’apertura a nuove forze politiche: i nuovi gruppi partitici (nove in totale), affermano dal Snc, sono costrutti artificiosi del governo, con candidati sconosciuti. Secondo l’Onu le elezioni non rientrano nella logica di un dialogo politico globale ed inclusivo che permetta un futuro democratico per il paese.
A urne chiuse, mercoledì 9 maggio, un ordigno è stato fatto esplodere vicino alla città di Deraa, pochi istanti dopo il passaggio del convoglio Onu, ove sedeva anche il leader della missione, Robert Mood.
Avviata il 15 aprile dopo l’approvazione all’unanimità del Consiglio di Sicurezza della risoluzione 2042, la missione Onu ha seguito di poco il piano in sei punti di Annan e della Lega Araba. Il 21 aprile è stata votata la risoluzione 2043: il Consiglio di Sicurezza “stabilisce, per un periodo iniziale di 90 giorni, una missione di supervisione, denominata Unsmis, inerente la rapida disposizione di circa 300 osservatori non armati, supportati da componenti civili e sistemi di trasporto aereo, finalizzati a monitorare la riduzione degli scontri a fuoco in tutte le loro forme e da parte di tutte le forze in campo”.
A fine aprile la nave Lutfullah II registrata in Sierra Leone è stata fermata nel porto libanese di Salaata, nei pressi di Beirut: trasportava svariati container con armi da fuoco leggere e pesanti destinate ai ribelli siriani. Partita dalla Libia, la Lutfullah II si è fermata ad Alessandria d’Egitto per ripartire alla volta di Tripoli (Libano settentrionale), snodo cruciale per i ribelli.
Da più parti leader di potenze occidentali e del Golfo hanno offerto supporto economico ai ribelli. Non ci sarebbe da stupirsi di cargo colmi di armamenti, se non fosse per il piano Annan e per risoluzioni Onu che auspicano una riduzione degli scontri. Al momento attuale manca anche una parvenza di coerenza tra i paesi artefici dell’attacco ad Assad. Ma strategia e posizioni non ricalcano il contenuto delle risoluzioni 2042 e 2043, insistendo al contrario nel destabilizzare Damasco fino ad autorizzare un intervento armato per scongiurare il degenerare dello scontro civile. Ma la Siria non è la Libia, e le forze in gioco remano in direzioni non omogenee attorno a nodi cruciale dello scacchiere geopolitico.
Fonti: Bbc, Press TV, Al Manar, Al Jazeera, Sana